Turner Victor W.
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Autore: Carlo Gagliardi
Antropologo scozzese, nato a Glasgow nel 1920 da un ingegnere elettronico e da un’attrice la quale, in particolare, ne coltiva gli interessi per la ‘rappresentazione’. Conosciuto per la sua analisi simbolico-processuale, dalle ricerche tra popolazioni primitive T. sviluppa teorie sul ruolo del rito nel cambiamento che in seguito applicherà alle società moderne.
Dopo il baccalaureato in antropologia (University College di Londra, 1949), tra il 1950 e il 1954 conduce per il Rhodes-Livingstone Institute un lungo lavoro tra i Ndembu (nell’attuale Zambia) che gli ispira fondamentali pubblicazioni. Il primo rapporto di ricerca è la sua tesi per il dottorato che consegue all’Università di Manchester (1955), nel Dipartimento di antropologia diretto da Max Gluckman con il quale collabora parecchi anni. Nel 1961 è chiamato negli Stati Uniti: prima al Center for Advanced Behavioral Sciences della Stanford University, poi alla Cornell University (1964-1968), alla University of Chicago come docente di antropologia e pensiero sociale (1968-1977), infine alla University of Virginia dove insegna antropologia e religione (dal 1977 alla sua morte, avvenuta nel 1983).
Opere di T.: Schism and continuity in an african society. A study of Ndembu village life, Manchester Univ. Press, Manchester 1957; The forest of symbols. Aspects of Ndembu ritual, Cornell Univ. Press, Ithaca (NY) 1967; The drums of affliction. A study of religious processes among the Ndembu of Zambia, Clarendon Press, Oxford 1968; Il processo rituale: struttura e anti-struttura, Morcelliana, Brescia 1972 (ed. orig. 1969); Simboli e momenti della comunità, Morcelliana, Brescia 1975 (ed. orig. 1972); Dramas, fields and metaphors. Symbolic action in human society, Cornell Univ. Press, Ithaca (NY) 1974; Revelation and divination in Ndembu ritual, Cornell Univ. Press, Ithaca (NY) 1975; Variations of the theme of liminality, in Moore S. - Myerhoff B., Secular ritual, Van Gorcum, Assen 1977; Image and pilgrimage in Christian culture: anthropological perspectives, Columbia Univ. Press, New York 1978; From ritual to theater: the human seriousness of play, PAJ Publications, New York 1982; On the edge of the bush. Anthropology as experience, Univ. of Arizona Press, Tucson (AZ) 1985; Liminality, kabbalah, and the media, "Religion", 15 (1985) 3; con Swartz M. J., Tuden A. (eds.), Political anthropology, Aldine, Chicago 1966.
Dalla campagna tra i Ndembu T. approfondisce come le culture tribali usino i riti per segnare momenti-chiave della vita dell’individuo ad esempio nei ‘riti di passaggio’ da uno stadio all’altro (nascita, pubertà, matrimonio, morte) ovvero per risolvere simbolicamente i conflitti. Centrale, in proposito, è la nozione di dramma sociale, definito "irruzione di tensioni" nella dialettica armonia/disarmonia. Successivamente estenderà il suo percorso alle società moderne, analizzando le varie forme di ‘rappresentazione’ (teatro, mass media, compresa la fiction popolare) che a suo giudizio scandiscono, anch’esse con ritualità, i processi culturali. Il dramma sociale si manifesta in ‘quattro fasi’: 1) rottura (dichiarata o implicita per non assolvimento di norme); 2) crisi (in cui l’iniziato o il soggetto disturbante viene separato dal sistema); 3) azione riparatoria (dai caratteri ‘liminali’, in quanto svolta in mezzo tra la crisi e la sua risoluzione, è condotta da influenti autorità del gruppo mediante il rito liminale); 4) reintegrazione (il soggetto, comunque ‘rigenerato’, si ricongiunge al ‘gruppo soddisfatto’ in una sintesi più avanzata).
Il rito è per T. un’‘azione simbolica’, ovvero "una sequenza stereotipata di atti che, con gesti, parole e oggetti, si rappresenta in un luogo appartato per influenzare entità o forze soprannaturali a favore degli interessati". Il simbolo valore di base non soltanto sociale e religioso, ma anche ‘trasformatore’ degli atteggiamenti e del comportamento umano è l’unità minima del rito espressa in atti. T. che si qualifica studioso di ‘simbologia comparata’ distingue tra simboli strumentali (al servizio del rituale particolare) e simboli dominanti (con alto significato autonomo). Questi, non già epifenomeni o maschere di processi socio-psicologici profondi bensì ‘valori ontologici’, possono avere tre proprietà: a) condensazione (polisemia o multivocalità, a rappresentare cose differenti); b) unificazione (più significati interconnessi); c) polarizzazione (duplice ordine: naturale/sociale, morale/normativo,ecc.). Le proprietà dei simboli si deducono, a loro volta, da tre livelli di significato: esegetico (ricavato da ‘ciò che è detto’ dagli attori), operativo (da ‘ciò che è fatto’ nel rito), di posizione (dalla ‘relazione con gli altri simboli del sistema’).
Tra le principali idee di T. figurano, strettamente associate, la liminalità (già accennata), la comunità e l’anti-struttura. Durante la ‘fase liminale’ di un rito i soggetti sono tutti alla pari e, affrancati dalle distinzioni gerarchiche della società, costituiscono un gruppo non strutturato o comunità.
Nella prima metà degli anni Settanta l’autore convertitosi al cattolicesimo sposta l’attenzione verso le religioni e applica le proprie teorie a eventi come il ‘pellegrinaggio’. Esporta quindi la chiave interpretativa alle società progredite e, nel marcarne analogie e differenze, parla di fenomeni liminoidi (quasi-liminali) per le rappresentazioni culturali (teatro, concerti, mostre), l’intrattenimento e i generi mediali, pronto a coglierne gli aspetti mitici e sacrali in quanto "celebrano poteri trascendenti" (viene spontaneo il richiamo anche qui al ‘luogo appartato’, es. sala cinematografica o stanza della Tv, nonostante che il destinatario sia un pubblico di massa).
È da sottolineare, in conclusione, il bagaglio concettuale apportato da T. alle scienze umane per descrivere le fasi del cambiamento sociale. Persone e gruppi allo ‘stato liminale’, colti nelle loro condizioni non-strutturate, rappresentano un potenziale di rinnovamento: "una specie di capsula o sacca istituzionale che contiene i germi dello sviluppo".
Dopo il baccalaureato in antropologia (University College di Londra, 1949), tra il 1950 e il 1954 conduce per il Rhodes-Livingstone Institute un lungo lavoro tra i Ndembu (nell’attuale Zambia) che gli ispira fondamentali pubblicazioni. Il primo rapporto di ricerca è la sua tesi per il dottorato che consegue all’Università di Manchester (1955), nel Dipartimento di antropologia diretto da Max Gluckman con il quale collabora parecchi anni. Nel 1961 è chiamato negli Stati Uniti: prima al Center for Advanced Behavioral Sciences della Stanford University, poi alla Cornell University (1964-1968), alla University of Chicago come docente di antropologia e pensiero sociale (1968-1977), infine alla University of Virginia dove insegna antropologia e religione (dal 1977 alla sua morte, avvenuta nel 1983).
Opere di T.: Schism and continuity in an african society. A study of Ndembu village life, Manchester Univ. Press, Manchester 1957; The forest of symbols. Aspects of Ndembu ritual, Cornell Univ. Press, Ithaca (NY) 1967; The drums of affliction. A study of religious processes among the Ndembu of Zambia, Clarendon Press, Oxford 1968; Il processo rituale: struttura e anti-struttura, Morcelliana, Brescia 1972 (ed. orig. 1969); Simboli e momenti della comunità, Morcelliana, Brescia 1975 (ed. orig. 1972); Dramas, fields and metaphors. Symbolic action in human society, Cornell Univ. Press, Ithaca (NY) 1974; Revelation and divination in Ndembu ritual, Cornell Univ. Press, Ithaca (NY) 1975; Variations of the theme of liminality, in Moore S. - Myerhoff B., Secular ritual, Van Gorcum, Assen 1977; Image and pilgrimage in Christian culture: anthropological perspectives, Columbia Univ. Press, New York 1978; From ritual to theater: the human seriousness of play, PAJ Publications, New York 1982; On the edge of the bush. Anthropology as experience, Univ. of Arizona Press, Tucson (AZ) 1985; Liminality, kabbalah, and the media, "Religion", 15 (1985) 3; con Swartz M. J., Tuden A. (eds.), Political anthropology, Aldine, Chicago 1966.
Dalla campagna tra i Ndembu T. approfondisce come le culture tribali usino i riti per segnare momenti-chiave della vita dell’individuo ad esempio nei ‘riti di passaggio’ da uno stadio all’altro (nascita, pubertà, matrimonio, morte) ovvero per risolvere simbolicamente i conflitti. Centrale, in proposito, è la nozione di dramma sociale, definito "irruzione di tensioni" nella dialettica armonia/disarmonia. Successivamente estenderà il suo percorso alle società moderne, analizzando le varie forme di ‘rappresentazione’ (teatro, mass media, compresa la fiction popolare) che a suo giudizio scandiscono, anch’esse con ritualità, i processi culturali. Il dramma sociale si manifesta in ‘quattro fasi’: 1) rottura (dichiarata o implicita per non assolvimento di norme); 2) crisi (in cui l’iniziato o il soggetto disturbante viene separato dal sistema); 3) azione riparatoria (dai caratteri ‘liminali’, in quanto svolta in mezzo tra la crisi e la sua risoluzione, è condotta da influenti autorità del gruppo mediante il rito liminale); 4) reintegrazione (il soggetto, comunque ‘rigenerato’, si ricongiunge al ‘gruppo soddisfatto’ in una sintesi più avanzata).
Il rito è per T. un’‘azione simbolica’, ovvero "una sequenza stereotipata di atti che, con gesti, parole e oggetti, si rappresenta in un luogo appartato per influenzare entità o forze soprannaturali a favore degli interessati". Il simbolo valore di base non soltanto sociale e religioso, ma anche ‘trasformatore’ degli atteggiamenti e del comportamento umano è l’unità minima del rito espressa in atti. T. che si qualifica studioso di ‘simbologia comparata’ distingue tra simboli strumentali (al servizio del rituale particolare) e simboli dominanti (con alto significato autonomo). Questi, non già epifenomeni o maschere di processi socio-psicologici profondi bensì ‘valori ontologici’, possono avere tre proprietà: a) condensazione (polisemia o multivocalità, a rappresentare cose differenti); b) unificazione (più significati interconnessi); c) polarizzazione (duplice ordine: naturale/sociale, morale/normativo,ecc.). Le proprietà dei simboli si deducono, a loro volta, da tre livelli di significato: esegetico (ricavato da ‘ciò che è detto’ dagli attori), operativo (da ‘ciò che è fatto’ nel rito), di posizione (dalla ‘relazione con gli altri simboli del sistema’).
Tra le principali idee di T. figurano, strettamente associate, la liminalità (già accennata), la comunità e l’anti-struttura. Durante la ‘fase liminale’ di un rito i soggetti sono tutti alla pari e, affrancati dalle distinzioni gerarchiche della società, costituiscono un gruppo non strutturato o comunità.
Nella prima metà degli anni Settanta l’autore convertitosi al cattolicesimo sposta l’attenzione verso le religioni e applica le proprie teorie a eventi come il ‘pellegrinaggio’. Esporta quindi la chiave interpretativa alle società progredite e, nel marcarne analogie e differenze, parla di fenomeni liminoidi (quasi-liminali) per le rappresentazioni culturali (teatro, concerti, mostre), l’intrattenimento e i generi mediali, pronto a coglierne gli aspetti mitici e sacrali in quanto "celebrano poteri trascendenti" (viene spontaneo il richiamo anche qui al ‘luogo appartato’, es. sala cinematografica o stanza della Tv, nonostante che il destinatario sia un pubblico di massa).
È da sottolineare, in conclusione, il bagaglio concettuale apportato da T. alle scienze umane per descrivere le fasi del cambiamento sociale. Persone e gruppi allo ‘stato liminale’, colti nelle loro condizioni non-strutturate, rappresentano un potenziale di rinnovamento: "una specie di capsula o sacca istituzionale che contiene i germi dello sviluppo".
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Bibliografia
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- TURNER Victor, Simboli e momenti della comunita . Saggio di antropologia culturale, Morcelliana, Brescia 2003.
- VAN GENNEP Arnold, I riti di passaggio, Boringhieri, Torino 1981.
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Gagliardi Carlo , Turner Victor W., in Franco LEVER - Pier Cesare RIVOLTELLA - Adriano ZANACCHI (edd.), La comunicazione. Dizionario di scienze e tecniche, www.lacomunicazione.it (18/11/2024).
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